Elezioni in Campania, cominciamo dalla sinistra tutta da rifare

L’elettore non è come il cliente, scrive qui di seguito il segretario provinciale di Sinistra Italiana, Franco Mari, ma come il cliente ha sempre ragione. Che piaccia o meno, il voto è un dato di fatto che determina il peso maggiore o minore di una forza politica, ne segna la vittoria o la sconfitta, o, come purtroppo in questo caso, l’assoluta irrilevanza. Mari lamenta che il messaggio sulla denuncia dell’onda nera, la lotta contro il neofascismo e la xenofobia, non abbiano dato frutti né la mobilitazione in difesa dei diritti sociali e civili. Ma l’elettorato non segue più da tempo le sirene ideologiche dell’antifascismo, bada soprattutto alle cose concrete come ci insegna il piccolo paese di Palomonte, caso emblematico,  dove su 4000 abitanti circa la metà ha votato per Salvini. Per una ragione molto  banale, alcuni militanti della Lega si sono occupati da vicino dei loro problemi come i continui furti nelle abitazioni. Persone che vivono di una piccola economia che si sono visti derubati dei loro prodotti agroalimentari, delle loro cose,  hanno votato semplicemente per chi gli dava ascolto. Ora è da tempo che la sinistra non riesce più a dare ascolto ai bisogni elementari dei cittadini, alla loro esigenza di sicurezza economica, personale; non perché non abbia attenzione ma perché il richiamo ai diritti civili è spesso astratto, non tocca i disagi concreti e la mobilitazione scatta solo in prossimità delle scadenze elettorali. La sinistra non sarà, come scrive impietosamente Tomaso Montanari su “Il Fatto”, “un ceto politico di sabotatori” che deve trovare lavoro altrove ma è innegabile che le formazioni locali che si richiamano alla sinistra hanno da tempo chiuso, oltre alle sedi le porte a chiunque volesse dare un contributo. L’arroccamento di una sempre più esigua nomenclatura, chiusa nella tutela dell’irrilevanza, tra le cause maggiori della sconfitta. E da questo dato, dalla eliminazione radicale delle piccole e vecchie certezze, che forse si potrà ripartire, ricominciando non da tre ma da zero, fuori da logiche di strategie, alleanze, tatticismi vari per future elezioni, girando lo sguardo da se stessi all’elettore comune. Se sarà in grado di fare questo, forse si riuscirà a salvare qualcosa. Intanto partiamo dagli “ultimi” della sinistra, per aprire  con Youcamp, un piccolo dossier sulle elezioni in Campania e nel salernitano.

La sinistra da rifare di Franco Mari

La sinistra è da rifare. Se ci fermiamo alle ragioni contingenti della sconfitta, che pure ci sono, non ne comprendiamo la portata. L’1,7% non consente alibi, ha il “merito” di impedirci categoricamente qualsiasi analisi autoconsolatoria o addirittura assolutoria. Paradossalmente ci ha condannato all’irrilevanza proprio il terreno su cui ci siamo più spesi: la denuncia dell’onda nera, la lotta contro il neofascismo e la xenofobia che avanzano, la mobilitazione in difesa dei diritti sociali e civili hanno indotto tanti a scegliere un argine a tutto ciò, un punto di riferimento non perfetto e pieno di contraddizioni, ma sicuramente sopra “la soglia di sbarramento”. L’antifascismo e l’antirazzismo praticati nelle piazze e sui balconi hanno ridato speranza al popolo progressista, si è ampliato negli ultimi mesi il sentimento di opposizione da sinistra alle politiche del Governo segnate dal protagonismo della Lega. Tutto ciò, però, si è depositato quasi esclusivamente nel voto al Partito Democratico. A poco è valso ricordare che eravamo in presenza di un sistema elettorale proporzionale e che pertanto era possibile votare liberi da ansie maggioritarie. La metà degli elettori che si è recata ai seggi  ha usato il voto con accuratezza, ha avuto paura di sprecarlo, ha preferito non andare per il sottile sui contenuti e sulle discriminanti. Non è servito a niente portare le prove della fedeltà del PD all’impianto neoliberista; per il popolo a cui ci siamo rivolti, la difesa del Jobs Act, della TAV e della “Buona Scuola” sono peccati veniali, dai quali sarà sempre possibile emendarsi. Le soglie di sbarramento non sono solo giuste o sbagliate a seconda dei punti di vista, hanno anche un effetto psicologico e pedagogico sull’elettore. Può non piacere, e a me non piace, ma non è questione di gusti: l’elettore non è come il cliente, non ha sempre ragione, ma devi sempre ascoltarlo. Perché il voto non è solo una croce su un simbolo, è soprattutto una domanda, una sollecitazione alla quale è impensabile non dare una risposta. Per questo, se, come credo, il consenso alle destre estreme non è effimero, non ha la liquidità del voto ai Cinque Stelle, ma si avvale di radici ben più profonde nella società italiana, allora è il momento di assumere come priorità il contrasto alla piega che sta assumendo il Paese. Questo può essere fatto efficacemente solo aprendo una discussione vera al nostro interno, dando un programma avanzato alla sinistra e costruendo coalizioni democratiche, alleanze capaci di alzare gli unici muri buoni, quelli utili a fermare idee regressive, ancorate all’egoismo e alla paura. A partire dai luoghi dove la politica muove i suoi primi passi, dove nasce l’impegno civile, la militanza e, purtroppo, spesso la degenerazione della politica. Nei Comuni e nelle Regioni, quindi, laddove sussistano le condizioni, cioè programmi e persone che li possano rappresentare al meglio. A cominciare dalla Campania: la più importante Regione al voto nel 2020, dove il centrodestra unito, stando al risultato delle europee, partirebbe da oltre il 38% e sente già l’odore della vittoria. Se il PD, la maggioranza che governa Napoli e i Cinque Stelle corrono separati è prevedibile la vittoria delle destre. Se nella primavera del prossimo anno dovesse esistere ancora il Governo gialloverde, la nostra regione diventerà inevitabilmente il crocevia delle contraddizioni in seno al M5S per il ruolo che Fico dovrà necessariamente assumere in questo passaggio. Allo stesso tempo, la tensione preelettorale tra De Luca e De Magistris prefigura un anno di aperta conflittualità tra Amministrazione regionale e città capoluogo. Uno scenario che finirebbe con l’avvantaggiare ulteriormente le destre, soprattutto in presenza di una loro candidatura forte e condivisa. Evitare questo esito diventa la priorità: dobbiamo chiedere agli attori principali di fare un passo indietro a vantaggio di una candidatura unificante e di un progetto condiviso. Il rifiuto dell’autonomia differenziata e della flat tax, con il loro carico di danni per il Mezzogiorno, può diventare il collante di una svolta e di una proposta credibile. L’onda nera può essere fermata, a partire dalla Campania.

Franco Mari

 

 

Redazione

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