Comunali / La Cultura e la difesa dei luoghi la vera sfida per il 2021

La cultura a Salerno non si distingue da tutte le altre competenze che riguardano la nostra pubblica amministrazione. Come altri settori essa è condizionata da un unico mega criterio, la convenienza, sia essa di natura politica, elettorale o meramente economica. A volte può sfuggire qualcosa di buono, ma è solo un caso, al di fuori di ogni programma organizzato. In genere, un assessorato alla cultura si presenta alla città con un suo programma almeno di intenti, nel quale espone le sue politiche e le regole che intende adottare. Questo valeva per Ermanno Guerra che è stato assessore per alcuni anni al Comune come vale oggi per Tonia Willburger nominata alcuni mesi fa alla guida della cultura. La quale nomina, a prescindere dalle motivazioni tutte interne agli equilibri della giunta che poco ci interessano, ha presentato alcuni elementi di novità, considerata l’ascendenza illustre dell’indimenticato padre Peter che è stato un’eccellenza artistica del nostro territorio; e una esperienza e capacità organizzative in campo musicale con l’iniziativa dei Concerti di Villa Guariglia che poi sono stati trasferiti a Salerno. Tuttavia abbiamo già visto come il suo compito, al di là di ottime intenzioni, non sia stato e non sia per nulla facile. Il Comune è troppo arroccato su pratiche acquisite da anni, monopoli gestionali chiusi come fortezze, attività  più votate al dilettantismo che non alla organizzazione professionale. Nella nostra città ogni iniziativa, anche quelle poche che hanno una loro dignità culturale, deve sottomettersi alla propaganda e concorrere alla costruzione di un potere personale,  una sorta di Fantoccio lusitano che come nel testo di Peter Weiss è decorato da varie medaglie: le cosiddette riqualificazioni, a volte sciagurate; la mistificazione su una piccola provincia in una sbandierata città europea; un corredo di roboanti azioni che servono solo ad oliare la sferragliante macchina promozionale che è partita neoi lontani anni ’90 da Salerno ed è culminata nelle politiche regionali. Ne è nata così una “cultura” che potremmo definire la vera cultura di Salerno, la quale ha permeato l’intero arco di una generazione dove ogni azione, ogni decisione è finalizzata a questo progetto ed ha fatto crescere intorno alle risorse comunali una serie di cosiddetti operatori culturali vocati ad iniziative poco consone non certo all’Europa ma anche solo ad una media città italiana. Così il Verdi deve diventare un piccolo San Carlo  affidato alle cure dello stesso direttore Daniel Oren da un decennio a costi sproporzionati alle entrate e al bilancio comunale (ultima la spesa di quattro milioni di euro per 11 tra opere e concerti) ; lo stesso vale per la prosa, sia pure con minore spesa,  oggi arricchita anche della Sala ex Diana/Pasolini affidata anche questa al Teatro Pubblico Campano con un contributo di 90mila euro con attività tra l’altro in gran parte interrotte  per l’emergenza Covid. Sale teatrali pubbliche o finanziate da risorse pubbliche come il Ghirelli destinata ad operatori napoletani che la usano come dipendence di  stagioni più articolate in quel di Napoli e che raramente aprono a gruppi e operatori professionisti della città. Altri spazi spazi salernitani sono affidati per amicizia o contiguità politica a privati a costi irrisori, tra cui interi palazzi monumentali come Santa Sofia, utilizzati invece a scopo di lucro o lo stesso Palazzo Fruscione spesso concesso gratuitamente per discutibili iniziative; o ancora il Piccolo teatro di Portacatena  mentre le piccole associazioni vengono beneficiate di elemosine dopo lunghe gavette.  In queste politiche dove la cultura non è il fine ma il mezzo per foraggiare clientele e consenso – quando per non far girare finanziamenti nelle casse comunali – mettere mano ad un serio progetto culturale è una missione impossibile, perché significa alterare equilibri consolidati e rompere con questo sistema. A cominciare dal rendere trasparente la spesa per la cultura, la sua quantificazione e i criteri di erogazione che al momento sono del tutto discrrezionali. Quindi delineando un nuovo assetto museale della città che mentre grida a metropoli europee, resta priva di un Museo Civico, con una esposizione articolata della sua storia longobarda e medievale; priva di uno spazio museale per l’arte contemporanea con bandi pubblici per seri curatori; che riutilizzi i suoi siti ex industriali  in funzione culturale a cominciare dalla Palazzina liberty delle Manifatture Cotoniere Meridionali. Negli scorsi mesi si è avviato un nuovo sciagurato progetto speculativo alle ex Marzotto altra enorme occasione mancata per Salerno in contrasto con tutte le buone pratiche di riuso a destinazione culturale degli spazi ex industriali; ancora in questi giorni si è avviato il progetto di un parco giochi a Piazza Alario a dispetto del Comitato di quartiere che si è battuto strenuamente per difendere quell’antico e nobile sito da progetti che ne deturpano la sua storia e la sua funzione. Ora siamo di fronte ad una nuova scadenza elettorale, nella prossima primavera del 2021 si dovrebbe rinnovare l’amministrazione comunale. Ecco, ci piacerebbe che una seria organizzazione della cultura fosse un punto qualificante di un programma elettorale per una amministrazione rinnovata, che invece di spingere ogni volta i cittadini a difendersi dalla sua azione, fosse il primo garante di una storia dei luoghi, della loro identità, della loro tutela e della loro funzione più autentica.

Nelle foto: Piazza Alario; Daniel Oren; la ex fabbrica Marzotto; il coplesso di Santa Sofia; la palazzina Liberty delle Manifatture Cotoniere Meridionali

 

Luciana Libero

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