Il naufragio di Cutro e l’etica del diritto

Intervento di Maria Carmen Sena

Il naufragio di un barcone, ormai vicinissimo alla nostra costa calabra, con a bordo uomini, donne e bambini, avvenuto all’alba di domenica 26 febbraio 2023, ha provocato la morte di oltre 80 esseri umani. Leggo lo scarno comunicato Ansa. Il naufragio ha provocato la morte. La parola naufragio dal latino” naufragium” è composto da “navis” nave e “frangere” rompere, quindi, indica la distruzione di una nave, in questo caso di un caicco sovraccarico di persone, dovuta all’azione di elementi naturali, ad esempio il mare forza sette.

Ma possiamo veramente liquidare così questa tragedia? Senza entrare nel
merito, non avendo elementi sufficienti per farlo, da operatrice del diritto
posso, però, affermare che non può esserci giustizia senza il rispetto delle leggi che sono la base di un vivere democratico. La morte di tanti esseri umani poteva essere evitata applicando ad una situazione di pericolo in mare le norme del diritto internazionale recepite ed implementate dalla nostra legislazione.
Bastava lasciarsi guidare dalla sacralità etica e giuridica della non violazione del diritto alla vita per mettere prima in sicurezza una imbarcazione e poi prestare un doveroso soccorso in mare. Ma allora perché non si è fatto ciò? Evitando di impelagarci in questioni sociologiche, demagogiche o ancora peggio pseudo politiche, dobbiamo ritornare alle origini.

E, forse, troveremo da soli la risposta. Aristotele affermava che “ l’uomo è un animale sociale ed ha bisogno di vivere insieme ad altri uomini”, quindi
dove esiste l’essere umano esiste la società. La società però per sopravvivere necessita di regole, ecco perché dove vi è la società esiste il diritto. L’equazione è chiara e da un punto di vista strettamente oggettivo il diritto rappresenta una serie di norme che regolano la vita dei membri di una comunità per assicurarne la pacifica convivenza sociale. La dimensione del diritto è costantemente presente nella nostra vita, in quanto è il nostro modus vivendi, ogni volta che agiamo implicitamente o esplicitamente, consapevolmente o inconsapevolmente ci muoviamo sempre secondo una norma giuridica. L’istruzione legale è fondamentale, specialmente per i giovani che spesso vivono una “non dimensione”, una dimensione non reale e hanno bisogno di agganciarsi alla vita concreta. A parere di chi scrive è necessario conoscere gli strumenti giuridici per immergersi con consapevolezza e senso del dovere prima nella vita quotidiana, poi nella vita della nostra società allo scopo di formare cittadini non solo responsabili ma anche concretamente attivi.

Soffermiamoci per un attimo sul ragionamento giuridico, esso richiede
pazienza e disciplina, entrambe sono finalizzate a focalizzare l’attenzione sia sulle particolarità, sia sui punti comuni di una situazione concreta. Il tutto va considerato anche nella prospettiva altrui. E’ necessario sviluppare umiltà ed onestà intellettuale quando ci si avvicina ad una fattispecie concreta che andrà interpretata e gestita secondo il diritto. Urge, però, riabilitare la conoscenza del diritto soprattutto in chiave critica
facendosi guidare non solo dalle norme ma anche dai valori morali.
Si premetta che l’autentico faro ispiratore di tutte le norme è la nostra
Costituzione. Essa storicamente nasce come risposta alla dittatura fascista e,
quindi, alle limitazioni dei diritti e all’accentramento dei poteri. Funge da tavola dei valori per quelli che conosciamo come i principi generali. Immaginiamo le fonti del diritto come una piramide, la Costituzione si colloca al vertice e quindi condiziona tutte le altre regole vigenti sul nostro territorio nazionale: nessuna norma di diritto italiano può contraddire le prescrizioni costituzionali. Purtroppo, la conoscenza del diritto fuori dagli ambienti giuridici è minima, ed è ancora più scarna la sensibilità verso il diritto come senso di vincolatività delle regole, a prescindere dalla loro sanzione. Riflettiamo, come già ci faceva riflettere Platone sull’aneddoto dell’anello di Gige. Il pastore Gige appena scopre che l’anello, di cui è in possesso, lo rende invisibile lo usa per conquistare il potere e realizzare tutti i suoi personalissimi desideri. Ma noi, come esseri umani, cosa faremmo se ci promettessero l’impunità? perché questo rappresenta l’invisibilità dell’anello. Continueremmo a rispettare le regole? A parole, forse, sì. In realtà siamo esseri egoisti in cui è l’interesse personale a muovere le nostre azioni. Ma, attenzione, siamo anche animali politici. Abbiamo bisogno gli uni degli altri per sopravvivere. Allora come è
possibile conciliare l’istintivo ed inevitabile perseguimento dei desideri
personali con la necessità della collaborazione? Il desiderio ultimo sarebbe quello di fare ciò che si vuole ma quando ci si rende conto che un mondo così sarebbe catastrofico e prossimo alla estinzione si ammette la necessità del rispetto delle regole per poter convivere. A nulla osta il fatto che si rispettano le leggi solo per debolezza, per paura della pena e non sempre perché pienamente convinti. Quindi, cosa faremmo di fronte alla possibilità di poter realizzare i nostri desideri senza pagarne le conseguenze? Cercheremo di realizzare i nostri desideri, in fondo vogliamo solo perseguire i nostri interessi, e arrivare al nostro interesse ultimo: essere felici. Ma non riusciamo a comprendere che per essere veramente felici è necessario stare bene con se stessi e quindi con gli altri. Di qui l’istanza di aprirsi agli altri. Inevitabilmente, ritorniamo ad Aristotele il quale sosteneva che la felicità non è qualcosa che può essere raggiunta in isolamento, ma è parte integrante di una vita ben vissuta in comunità. Quindi, conta la felicità della collettività, non solo quella del singolo individuo.

Noi non possiamo vivere da soli, solo gli animali o gli dei possono, la concretizzazione di una vita in equilibrio con gli altri è necessaria e ci fa sentire veramente realizzati e perché no felici. Ecco la necessità delle regole, le quali servono a farci vivere armoniosamente in comunità, siano esse la famiglia, la scuola, le associazioni, i Comuni, le Province, le Regioni, lo Stato, l’Unione Europea. Da un punto di vista più concreto dobbiamo constatare che nei Tribunali la giustizia è rappresentata dalla decisione conforme alle norme, un processo è giusto quando si rispettano le regole sia sostanziali che processuali. L’etica della giustizia impone agli operatori del diritto di ricercare la migliore soluzione possibile avendo come meta i valori della Costituzione, e contaminando la soluzione giuridica con la ragionevolezza. La ragionevolezza, il buon senso è una istanza filosofica ed una dimensione di vita, perché alla fine ciò che facciamo è il tema principale della nostra vita, noi dobbiamo creare chi vogliamo veramente essere, è questa la sfida più impegnativa: dare un senso alla nostra vita nella casualità del mondo. Per la costruzione del nostro io bisogna saper guardare e relazionarsi con gli altri, nell’ottica dell’ascolto delle ragioni altrui senza pregiudizi ma allargando i nostri orizzonti, i nostri confini.
L’obiettivo giuridico – filosofico è quello di capire meglio il mondo in cui
viviamo e tentare di risolvere le sue ingiustizie. Spesso bisogna essere
dissonanti e se necessario utopici. Per realizzare qualcosa di possibile bisogna sempre puntare all’impossibile. La soluzione potrebbe essere quella di adottare l’etica nei principi giuridici e l’etica nelle azioni. Poiché, come affermava Platone, solo la giustizia può assicurarci una vita sicura, civile e soprattutto umana. E, purtroppo, stavolta di umano abbiamo visto molto poco.

Luciana Libero

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