Democrazia e etica della responsabilità. Una riflessione post elezioni

“La democrazia – scrive Norberto Bobbio – è quella forma di governo le cui regole principali, quando sono osservate, hanno lo scopo di permettere la soluzione dei conflitti sociali senza bisogno di ricorrere alla violenza reciproca”. Per potersi realizzare c’è bisogno di una fiducia reciproca tra i cittadini e tra i cittadini e le istituzioni, quindi tra i cittadini e i loro rappresentanti. Fondamentale, da questo punto di vista è la veridicità, quindi la condanna della menzogna, della simulazione, dell’inganno. Questo perché in un ordinamento pluralistico, in cui vigono posizioni, interessi, programmi differenti, le soluzioni dei problemi, i progetti e gli indirizzi di governo devono scaturire da accordi, da mediazioni , da integrazioni. Perché sia possibile un corretto regime contrattuale tra le parti della società è essenziale il rispetto della legalità in tutte le sue declinazioni nelle varie regioni della vita sociale, economica, amministrativa. Ma questo rispetto della legalità, questo primato del diritto che deve permeare tutti gli ambiti della vita sociale, esige un esercizio rigoroso dei poteri di controllo e dell’attività giudiziaria, ma esige anche che i cittadini non agiscano rettamente solo sotto la costrizione della legge, ma siano guidati anche, se non in primo luogo, dalle loro convinzioni morali: sia nel senso della morale privata, sia nel senso della morale pubblica o , come si è detto nei decenni passati, dell’ ”educazione civica”. Il modello democratico fondato sull’etica della responsabilità è certamente il più convincente per attuare una vita sociale e un’organizzazione dello Stato in cui si realizzi la congiunzione tra l’individuo e la comunità , tra i diritti individuali e i doveri sociali, tra la libertà e il bene comune. Ma è un modello la cui attuazione è difficile ed esige la cooperazione di tutti gli attori della vita sociale e politica e certamente un ruolo particolare spetta alla scuola , all’università, agli enti culturali e della ricerca, e a tutte le altre istituzioni educative, sia laiche che religiose. Sul piano strettamente politico, pensando alla situazione attuale, la prima condizione è l’abbandono della personalizzazione della politica e il ripristino della funzione dei partiti come luoghi di formazione e selezione della classe dirigente, la cui pre-condizione è certamente l’onestà, ma che ha bisogno anche di specializzazioni e competenze, né può essere scelta su una sia pur larga piattaforma informatica. Questo che ho appena delineato è un modello prevalentemente formale di attivazione del rapporto essenziale di politica e morale. Se passiamo ad un’analisi più dettagliatamente contenutistica , dobbiamo tenere conto del fatto che le problematiche che si impongono oggi sul piano etico e nell’intreccio di etica e politica si sono straordinariamente allargate e complicate in relazione ai processi di secolarizzazione e soprattutto di sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle loro applicazioni tecnologiche, che danno all’uomo la sensazione di un assoluto dominio sulla vita e sulla natura. Mi riferisco alle problematiche bioetiche e biopolitiche , dell’inizio vita e del fine vita, del potenziamento fino al limite del passaggio ipotizzato dall’umano al post-umano. Mi riferisco alle questioni economiche ed ambientali su cui ha richiamato efficacemente l’attenzione l’enciclica Laudato sì. Mi riferisco al grande patrimonio di valori , di progetti, di orientamenti cresciuti nella tradizione della sinistra e del cattolicesimo democratico intorno all’asse portante della giustizia, dell’eguaglianza, della solidarietà. Se teniamo conto di tutto questo la riflessione sul rapporto tra morale e politica esige una consapevolezza della pluralità dei punti di vista e della esigenza di assumere nella prospettiva legislativa e nel complesso di diritti e doveri, un atteggiamento equilibrato, rivolto essenzialmente alla salvaguardia dell’umanità degli uomini, che noi stessi corriamo il rischio di mettere in pericolo, se non sappiamo sfuggire alla tentazione della superbia, in cui cade la “ragione moderna” quando al sublime dell’imperativo categorico kantiano preferisce il “demoniaco” del potere. Un atteggiamento equilibrato, ragionevole non razionalistico, che si può assumere solo entro il quadro di una relazione tra morale e politica disegnata da una rinnovata democrazia rappresentativa capace di tutelare insieme diritti e doveri degli individui e della comunità, libertà dei cittadini e autorevolezza dello Stato.

Pino Cantillo

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