Dal San Carlo all’Auditorium, tutta la “roba” di De Luca Mazzarò

“Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, si domandava: Qui di chi è? E sentiva rispondersi: Di Mazzarò … E qui? Di Mazzarò. E la vigna e l’uliveto e le mandrie? Tutta roba di Mazzarò. Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, e le cicale che ronzavano, e gli uccelli che andavano a rannicchiarsi col volo breve dietro le zolle, e il sibilo dell’assiolo nel bosco. Pareva che Mazzarò fosse disteso tutto grande per quanto era grande la terra, e che gli si camminasse sulla pancia. Invece era un omiciattolo, che non gli avreste dato un baiocco, a vederlo”. Comincia così la bellissima novella di Verga, “La roba” apologo sulla avidità umana che ci è venuta in mente dopo che anche l’Auditorium di Salerno,  complesso nella parte alta della città,  è stato “associato” al  Teatro Verdi e non affidato al Conservatorio Giuseppe Martucci, sua destinazione naturale e su cui c’era stata una raccolta firme e l’impegno dell’amministrazione. La struttura va così ad aggiungersi al Palazzo Fruscione, al Complesso di Santa Sofia con la Chiesa dell’Addolorata, di cui una parte è stata assegnata come Palazzo dell’Innovazione, alla Sala Pasolini, alla Palazzina Liberty delle Cotoniere, alla ex Salid con annessa Fornace, già Teatro Ghirelli ormai chiuso da tempo e alla miriade di altri spazi gestiti in proprio dall’Amministrazione comunale, chiusi o dati gratuitamente ma solo ad alcuni gruppi  o, come nel caso di Santa Sofia,  ceduti ai privati con un bando comunale. Ma la gestione anche dell’Auditorium Umberto I, ristrutturato con fondi europei,  è ancora più anomala, in quanto il Verdi non è una struttura autonoma ma è un teatro municipale gestito direttamente dal Comune, cui la Regione ha appena assegnato la cifra di un milione e cinquecentomila euro. “Il Comune di Salerno ha inteso preservare nel modo più idoneo un bene di sua proprietà, si legge nel comunicato stampa, e va precisato che non vi è stata alcuna concessione del bene stesso al Teatro Municipale Giuseppe Verdi. Il complesso è stato semplicemente associato al Teatro Verdi, al fine di renderlo coerente con le attività culturali promosse dall’amministrazione comunale e, soprattutto, per garantire la copertura delle spese di gestione. Tale disposizione non contrasta e non mette in discussione gli impegni assunti in precedenza dall’amministrazione a consentire l’uso a enti terzi e, segnatamente, al Conservatorio Giuseppe Martucci”. Il comunicato prosegue sulla necessità di una procedura di gara pubblica per l’affidamento, che questo può esserci in relazione ad un programma e conclude: “L’amministrazione ha ritenuto più rispondente al pubblico interesse associare l’Auditorium al Teatro Verdi, coprirne le spese e darlo in uso a chiunque ne faccia richiesta, primo fra tutti il Conservatorio”. Intanto non si capisce che significa, dal punto di vista formale,  la parola “associato”; inoltre nessuno impedisce che tra Comune e Conservatorio ci possa essere una convenzione, come del resto era stato ipotizzato; infine che la concessione di un bene pubblico in relazione ad un programma che sia rispondente alle esigenze del Comune stesso è un tortuoso giro di parole che afferma semplicemente che lo spazio sarà utilizzato nell’ambito della programmazione del Teatro Verdi, probabilmente per tenervi dei concerti e concederlo al Conservatorio quando ne farà richiesta, magari a pagamento. La scelta conferma la concezione sempre più “proprietaria” dei beni comuni, salernitani e regionali. L’attacco di questi giorni a De Magistris sul Teatro San Carlo è sintomatica: “ I fondi del  Comune bastano per una sagra e se non fosse per noi il San Carlo potrebbe chiudere”. E’ come se De Luca considerasse le elargizioni della Regione non un obbligo istituzionale che è da sempre superiore a quello del Comune, ma un suo mecenatismo personale: ” Quando uno è fatto così, continua Verga, vuol dire che è fatto per la roba”. E la roba da Salerno si è trasferita a Napoli, alla Scabec, società in house dela Regione che dovrebbe valorizzare i beni culturali e che è diventato il forziere dei finanziamenti culturali, gestiti da un uomo di de Luca, Antonio Bottiglieri,  reduce dai successi della gestione della Fondazione Salerno Contemporanea che ha visto volatilizzarsi in tre anni cospicui finanziamenti, l’inseguimento dei creditori, la chiusura del Teatro Ghirelli e la trasformazione in Casa del contemporaneo che ha ancora la sua sede legale in via Lungoirno 1 ma che con Salerno ormai non c’entra più nulla. Al fido Bottiglieri si affiancano due figure storiche del PD napoletano, Teresa Armato e Nicola Oddati. La Scabec che dovrebbe occuparsi di beni culturali, oltre a gestire il Madre e gli eventi nei siti più importanti della regione come la Reggia di Caserta, distribuisce inoltre risorse e consulenze, tra le quali troviamo altri nomi salernitani, addetti stampa storici, direttori artistici di eventi come il Premio Charlot,  la rassegna Segreti di autore di Ruggero Cappuccio a Serramezzana; lo stesso Cappuccio nominato direttore del Napoli Teatro Festival per la Fondazione Campania dei Festival , la quale (notizia dei giorni scorsi) abolirà il CDA per nominare un amministratore unico. Pare che sarebbero stati proprio i dissidi tra Cappuccio e il Presidente Grispello, già responsabile dell’Agis napoletana, a spingere in questa  direzione e sarà interessante vedere chi sarà questo amministratore unico. Alla Fondazione Ravello che gestisce il Festival è stato nominato segretario generale Ermanno Guerra, già assessore alla cultura salernitano. Ma sono tante le scelte analoghe, nomine per siti e musei importanti di giornalisti di fama come Luigi Vicinanza già direttore di  La città al Mav di Ercolano; di Titta Fiore già capo degli spettacoli al Mattino,  alla Film Commission o di Laura Valente alla presidenza del Madre (moglie di Enzo D’Errico direttore del Corriere del Mezzogiorno ndr). Tutte nomine al di fuori di ogni procedura ad evidenza pubblica, di alcune delle quali non si sa se a titolo gratuito od oneroso. Ci sono poi incarichi e consulenze a magistrati e legali  che si sono occupati di questioni giudiziarie dello stesso De Luca. Continua Verga: “Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò! – diceva la gente; e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e  quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri che venivano a lagnarsi delle malannate, i debitori che mandavano in processione le loro donne a strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare. Lo vedete quel che mangio io? – rispondeva lui, – pane e cipolla”.  Un po’ come capita al governatore che ha sempre sbandierato il suo spirito “francescano”. A tutta questa già frenetica attività, si aggiunge negli ultimi tempi, dopo l’arrivo al Governo dei “barbari”, dopo cioè che è caduta (o almeno si spera) la sponda nazionale che per decenni ha sostenuto queste politiche, un aumentato presenzialismo in cose culturali che si va ad aggiungere ai quotidiani annunci fantasmagorici su piani del lavoro, sanità, infrastrutture e via dicendo, che trovano puntuale grancassa nella stampa locale e fanno degli assessori della Giunta un branco di pesci muti nell’Oceano. Così alle conferenze stampa altrettanto mute dei giornalisti, si aggiunge la presentazione di un libro a Salerno Letteratura che diventa una intervista a largo raggio con il direttore de “Il Foglio” autore di “Abbasso i tolleranti”, titolo particolarmente consono.  Dove la prolusione spazia da un attacco ai social che hanno avuto gran parte nella vittoria dei 5 Stelle, ai migranti, ai nigeriani, all’ONU.  Forse la propaganda non dà più i risultati di un tempo e allora non resta che aggrapparsi alla cultura, quella stessa considerata per anni roba per sfessati e sfaccendati e che, tra tanti copiosi investimenti, non ha mai visto la nascita Salerno a di un Museo Civico o di una esposizione seria di arte contemporanea. Insomma tale e quale al personaggio di Verga ché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba  “andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me! –

 

Luciana Libero

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