Fondazione Menna, la banda dei falsari colpisce ancora

Ancora una volta le istituzioni salernitane si muovono come goffi elefanti in preziose gioiellerie. In primo luogo per ignoranza, in secondo per voluta omissione, fatto sta che la storia della città che viene raccontata in questi eventi risulta quasi sempre parziale, monca, omissiva. Una sorta di bignamino della cultura, una infarinatura attaccata con lo sputo che un serio professore caccerebbe a pedate chi oserebbe proporla. E’ capitato con la vicenda del Teatrogruppo che qualche tempo fa doveva entrare nel patrimonio dell’umanità e che finì in una serata di balli, zampogne e putipù con la compagnia Daltrocanto. Poi c’è stata la straooordinaria Biennale d’arte, la rassegna di arte a pagamento di Palazzo Fruscione. Poi ci sono i Tempi moderni ed altri avventizi della cultura entrati nel santuario per opera e virtù dello spirito santo. D’altro canto se chi organizza è un ignorante, nel senso che ignora quanto è avvenuto in città negli anni passati, ma anche nel senso più semplicemente di ciuccio, è difficile che si possa ottenere qualcosa di più della banda degli onesti con Totò, Peppino e Giacomo Furia. Campione ultimo di questo andazzo – che supera in raffinatezza gli addetti alla Sovrintendenza- è la Fondazione Menna, presieduta da Claudio Tringali, ex presidente della Corte d’appello salernitana, il quale non avendo alcuna competenza specifica (ma non volendolo ammettere) invece di fare il presidente di garanzia, come sarebbe giusto per il suo ruolo e la sua storia, ha deciso di avventurarsi non si sa bene perchè sul terreno impervio della cultura  imbastendo eventi di arte varia per far vedere che la fondazione è viva e lotta insieme a noi. Ma, non sapendo bene dove mettere le mani, assistiamo ad una sorta di pesca miracolosa dove può pure capitare di azzeccare qualche scampolo ma l’effetto resta raffazzonato e approssimativo. D’altra parte, oltre che d’altro canto, il povero Tringali, si è ingoiato il rospo di un cosiddetto “comitato scientifico” che sta alla scienza  come il cavolo a merenda, formato da un giornalista Rai, il tuttofare Alfonso Amendola, quello immortalato sotto il selfie Pierpaolo-tutto-attaccato, il quale si occupa di “sociologia degli audiovisivi” che è come dire aria fritta  condita da fuffa. D’altro canto, proprio per questa ineffabile arte del nulla,  si può giustamente disquisire su tutti e tutto. Volete Filiberto? Ci sta. Volete a Pasolini? ve lo diamo nooi a Pierpaolo, e così via. C’è pure una malcapitata Laura Cherubini che sta lì come foglia di fico, visto che lei di arte ne capisce ma è scientifico che non deve fare assolutamente nulla. Così il volenteroso Tringali ( ma sarà poi pagato abbastanza?) che già deve vedersela con i fratelli Russo, i quali ogni giorno gli tirano la giacchetta su Cronache come i due fratelli Capone (”Uè, noio volevom savuar”) , si barcamena tra le proposte che arrivano da Santa Lucia targate Regionee quelle che arrivano da via Roma, targate Comune, alias dal sottobosco locale.  Purtroppo la Fondazione Menna non è un organismo privato (altrimenti non ce ne importerebbe un fico secco) ma pubblico ed è passata dal rigore  elitario e algido dell’Università alla qualunque, il che è un ulteriore segno del degrado di una città. Un po’ come quelle fiere di paese dove scafati illusionisti ti vendono un set di pentole e  insieme l’elisir di lunga vita, prendi due e paghi uno. Intanto la storia stessa dell’Istituto, nato per la memoria dei Menna e in particolare di Filiberto, meriterebbe qualcosa di meglio, e tuttavia si può anche perdonare la mancanza di rigore disciplinare; passi pure che la Fondazione sia costretta a raccattare nella pletora di operatori locali, i quali non avendo né arte né parte, non gli par vero di fare una qualche comparsata, magari pure rimediando qualche spicciolo. Ma non si può tollerare che su argomenti sensibili come il femminismo  si faccia una operazione da falsari. Le ultime due iniziative  sono infatti una dedicata alle donne e al Femminismo con “Fotografia di una storia. 1968-2018. Femminismo e movimenti delle donne a Napoli e in Campania“. E una seconda dedicata al cinema muto. Curata da Luisa Festa (ignota ai più),  la mostra è promossa dal Consiglio Regionale della Campania, dalla Consulta per la Condizione della Donna, dalla Commissione per le Pari Opportunità e dall’Osservatorio sul fenomeno della Violenza sulle donne. Tutte queste  onorabili comparse istituzionali hanno presieduto ad una mostra di immagini che non si sa da dove provengano né come siano state selezionate né a cosa si riferiscano. Pare che siano stati raccolti due documenti  sul Processo Sanfratello, offerti sempre da d’altro canto Giordano che col processo Sanfratello c’entra come il due di briscola.  Il secondo evento,che con titolo suggestivo si chiama IL MUTO DI NAPOLI, affronta il tema del cinema muto e di Elvira Notari, grande cineasta locale di cui si sono a lungo occupati in questi anni Mario Franco e Michele Schiavino: “Quanti conoscono il nome di Elvira Notari? Quanti, fuori dal giro ristretto dei cinefili e dei cultori del cinema muto, sanno che fu la prima donna regista italiana con una produzione fluviale, tra il ‘ 10 e il ‘ 30, di film e documentari? “ si chiedeva nel ’91 Nico Garrone, padre del noto Matteo, su La Repubblica, a proposito dell’evento di Mario Franco che con il titolo “Pellicole mute della Napoli primo ‘ 900” aveva già presentato il tema nell’ 88 al Festival di Benevento diretto da Ugo Gregoretti; poi al Teatro Parioli con Merola che cantava dal vivo con nove proiettori sistemati accanto all’ orchestra come in una sala di doppiaggio e infine con  “Il mare la luna e i coltelli“, prima edizione critica di una storia del cinema muto napoletano. Ma Cactus film, pur con tutto il rispetto per Licio Esposito,  ricorda unicamente il percorso sul cinema muto sonorizzato iniziato nell’agosto 2014, con l’evento/mostra La film di Elvira” fatto sempre dalla Cactus film. “Un’occasione imperdibile, scrivono gli organizzatori,  per offrire ai salernitani l’opportunità di conoscere e approfondire la figura della illustre concittadina Elvira Coda Notari, prima regista del cinema italiano, figura preziosa e misconosciuta che stiamo valorizzando da anni, portandola a conoscenza del pubblico anche con un libro intitolato “La film di Elvira” a cura di Paolo Speranza, pubblicato dalla casa editrice Cinemasud, e un documentario di prossima uscita”. Ottimo lavoro che però dovrebbe citare i precedenti curatori di un’artista che, almeno da chi si occupa di cinema, è stata molto conosciuta e frequentata in questi anni, in Campania e anche a Salerno. I Cinememorie, di Michele Schiavino, presentati in tante edizioni in cinema salernitani, a partire dal ’95 mentre, e qui ritorniamo alle donne, negli anni ’70 ambienti femministi, come le Nemesiache a Sorrento, lavorarono molto su Elvira Notari pionera del cinema al femminile. Insomma cari amici della Fondazione, collaboratori, membri del Comitato scientifico, Cda, amici, raccomandati e compagni, signori della Fuffa, se volete documenti, fotografie, materiali di archivio, libri, saggi e scritti, rivolgetevi a chi questa storia la conosce bene, l’ha documentata,  l’ha studiata, l’ha scritta, in altre parole, l’ha fatta, quando a Santa Lucia e a Via Roma non c’era proprio nessuno e voi stavate in tutt’altre faccende affaccendati.

Luciana Libero

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